Come ogni anno la Giornata Internazionale della Donna è stata per noi di Binario 15 l’occasione per creare un percorso di avvicinamento condiviso e consapevole verso la manifestazione dell’8 marzo. Per settimane, insieme alle partecipanti ai nostri laboratori, abbiamo promosso un confronto che ha voluto esplorare i significati di essere donne nelle nostre società di riferimento e sulla promozione della parità di genere in Italia e nel mondo.

È così che siamo scese in piazza portando le nostre istanze e quelle di tutte le donne che in Afghanistan non possono far valere i propri diritti, a partire dal diritto allo studio. Rabbia e solidarietà hanno così marciato insieme ed hanno trovato voce grazie alle circa le oltre 30 persone della nostra delegazione composta da ragazze, neonate, bambini, nonne e nipotine che hanno camminato urlando gli slogan e sventolando i cartelli preparati insieme durante gli incontri delle scorse settimane. Alle nostre grida si sono unite con entusiasmo quelle di tante altre manifestanti di altri gruppi, che ci guardavano con interesse e talvolta un po’ di stupore.

Per alcune delle nostre sorelle afghane questa era la prima manifestazione in Italia, per altre era la prima in assoluto. Di certo la loro partecipazione ha avuto anche un grande valore simbolico ricordando al mondo la tragedia del popolo afghano abbandonato al proprio destino dopo la fuga delle truppe occidentali nell’estate del 2021 e l’attuale condizione di apartheid di genere.

Guardando la marea colorata che ha animato le vie di Roma in questa giornata, affiorano così le diversità in una piazza che condivide lotte ma che non ha tutto in comune. Anche il gesto potente e simbolico di agitare le chiavi in aria mette a confronto immaginari diversi: in questo contesto avevano il ruolo di denuncia. Avere un mazzo di chiavi in tasca qui è scontato, mentre in Afghanistan alcune donne indossano una chiave nelle trecce, come un gioiello, per mostrare con orgoglio la conquista di possedere qualcosa di proprio, per cui hanno dovuto lottare duramente e che non hanno il privilegio di dare per scontato. Chiavi diverse per storie spesso non uguali, che agiteremo a lungo dall’8 marzo per ogni giorno.

Di seguito condividiamo una gallery di immagini scattate da Arianna Speranza e un articolo scritto dalla giovane giornalista afghana Frishta Haidari che vive in Italia da due anni ed ha partecipato con noi alla manifestazione.

Le donne Afghane sono scese in piazza l’8 marzo (di Frishta Haidari)

Per prima cosa, il mio sguardo si è posato su ragazze e donne che indossavano l’hijab. Stavano partecipando alla manifestazione per la Giornata internazionale della donna, eppure la definizione di hijab in Afghanistan e sotto il dominio talebano è diversa: ogni giorno, con il pretesto dell’hijab e dell’applicazione delle leggi islamiche, donne e ragazze vengono sacrificate, in una terra dove la storia dell’intera vita delle donne è riassunta solo nel burqa e nelle quattro mura di casa. Essere una donna è una storia incompiuta di coraggio di fronte alle difficoltà, ferite che raccontano di forza. La sua voce muta urla in silenzio tra i muri di pietra. C’è un dolore nel suo sguardo che narra secoli di iniquità, eppure la speranza è viva nella profondità dei suoi occhi.

Nel corso della Storia, con i suoi alti e bassi, ciò che ha sempre tenuto dritta in piedi la realtà delle donne afghane è stata la loro solidarietà. Solidarietà che si è formata e persiste sulla base di contesti simili, in cui le donne affrontano insieme politiche di ritorsione e discriminazione. Questo ha dato identità alla narrazione delle lotte femminili: le donne sono sempre state considerate inferiori e il sesso debole nel quadro di varie culture, e sono state soggette a moltissime oppressioni.

Questa oppressione non è legata a una specifica area geografica, ma alla pratica che esseri umani hanno imposto su altri esseri umani. Di conseguenza, questo stesso analogo destino ha spinto le donne da una storia comune alla solidarietà, dalla solidarietà alla lotta. Una battaglia mozzafiato che ha imposto molti sacrifici alle donne ma che ha dato la forza di continuare.

Le donne sono combattenti disarmate che hanno continuato a resistere con amore e fede nella libertà e hanno cercato un’opportunità per crescere, e se i muri delle restrizioni crolleranno, il mondo vedrà che le donne, soprattutto le donne afghane, non sono solo vittime. Sono le costruttrici di un domani luminoso.

L’8 marzo simboleggia la lunga lotta per la giustizia sociale, contro le ineguaglianze e la violenza che le donne hanno sempre subito. La celebrazione di questa giornata si svolge in un momento in cui, con l’ascesa al potere del gruppo dei Talebani, le donne sono tornate a zero e sono state deprivate di tutti i diritti di cui hanno ottenuto negli ultimi vent’anni.

Per più di quattro anni, le donne in Afghanistan sono state, a causa della discriminazione di genere, deprivate del diritto al lavoro, all’istruzione e alla libertà di espressione, che sono i diritti umani più basici. Questo richiede un’attenzione severa. Tuttavia le donne non sono rimaste indifferenti a questa situazione e hanno protestato. Sono scese in strada e hanno alzato la voce contro tutte le ingiustizie, chiedendo l’abbattimento di tutti questi ostacoli. In particolare, in Italia, donne afghane attiviste si sono riunite nelle strade di Roma, insieme all’associazione Binario 15, per esprimere la loro solidarietà per le sorelle afghane. Hanno rivendicato i diritti delle donne afghane, scandendo slogan come “libertà per le donne afghane”, “scuole aperte per le ragazze afghane”,  portando l’attenzione sull’apertura delle scuole alle ragazze dalla sesta classe in su, al diritto al lavoro, all’istruzione, alla libertà. Hanno levato le loro voci contro il silenzio globale.

Nella speranza di un giorno in cui le donne e le ragazze afghane cammineranno senza paura, con sorrisi e speranza, per le strade delle loro città, tenendo in mano libri e dando vita ai loro sogni.