Abbiamo chiesto ai nostri mediatori culturali cosa ne pensano del provvedimento che estende la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno UE di lungo periodo anche ai beneficiari di protezione internazionale.

Europa Europe 3DLo scorso 11 marzo 2014 è entrato in vigore il Decreto Legislativo n.12 del 13 febbraio 2014, che recepisce la Direttiva 2011/52/UE. Con questo decreto si estende la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno UE di lungo periodo anche ai beneficiari di protezione internazionale (a cui è stato quindi riconosciuto lo status di rifugiato o di protezione sussidiaria). Che cosa implica questa novità? Contrariamente al passato, anche i titolari di protezione internazionale potranno lavorare all’interno di tutti i paesi dell’Unione Europea, e non solo in Italia, in quanto Stato che ha concesso loro detta protezione. Il permesso sarà a tempo indeterminato e verrà rilasciato entro 90 giorni dalla richiesta.

Per aver accesso al permesso di soggiorno UE di lungo periodo è necessario soddisfare due requisiti. In primo luogo il titolare di protezione internazionale deve essere regolarmente presente in Italia da almeno 5 anni (si fa riferimento alla data in cui è stata fatta la domanda di protezione internazionale). In secondo luogo deve avere un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, nel caso della richiesta di un singolo, o un reddito sufficiente se la richiesta di permesso viene fatta per il nucleo familiare. E’ da notare, infatti, che il permesso di soggiorno UE di lungo periodo può essere richiesto anche per un intero nucleo familiare.

Sul permesso dovrà essere annotato che al titolare è stata riconosciuta la protezione internazionale in Italia e dovrà essere anche indicata la data del riconoscimento. Qualora il titolare del permesso di soggiorno dovesse essere espulso da un altro Stato (sono ammessi solo i motivi di ordine e sicurezza pubblica e sicurezza dello Stato), potrà essere riammesso in Italia.

Per avere un’idea della possibile applicazione pratica di questa legge, abbiamo chiesto ad alcuni dei nostri mediatori culturali, che come volontari ci seguono da tempo e vivono ormai in Italia da diversi anni, il loro parere su questa novità legislativa. Nella maggior parte dei casi hanno saputo di questa norma attraverso internet, il passaparola di amici italiani e afghani, di colleghi di lavoro che hanno dato loro i riferimenti ma anche attraverso corsi di formazione.

La prima cosa che è emersa dalle interviste riguarda ovviamente i requisiti di ammissibilità, a partire dalla residenza per un minimo di 5 anni in Italia. Ab. al momento non lavora ma ci ha detto che «Forse 5 anni sono troppi. Se una persona vive così a lungo in un paese è molto difficile che lo lasci per un lavoro all’estero». M. invece è uno studente lavoratore: «Ora sono stanco di andare in altri paesi – ci ha detto – Ho visto che qui riesco a studiare e lavorare insieme, rimango qui fino all’università». A. ha da poco iniziato uno stage e ha invece evidenziato che «se è richiesto che una persona debba avere minimo 5 anni di residenza in Italia, sicuramente in questo tempo riuscirà a trovare un lavoro». Secondo alcuni di loro, inoltre, nell’arco di tempo di cinque anni una persona si è già impegnata a lungo per imparare la lingua, per integrarsi. Come nel caso di F.: «In questo momento non mi interessa perché sto lavorando [come operatore sociale e mediatore, ndr]. Se perdessi il lavoro però continuerei comunque a cercarlo in Italia perché ormai mi sento inserito qui, è il mio secondo paese». Sempre secondo F. il punto debole del decreto è anzi che «per far domanda devi avere un reddito annuale, e questo non è sempre possibile. Chi ha più bisogno di partire è proprio chi non ha un reddito!».

Eppure, sebbene non sembrino personalmente interessati a questo decreto, sono dell’opinione che potrebbe essere utile, nel caso dei rifugiati che vogliono andare a lavorare in paesi con un’economia migliore di quella italiana, come la Svezia o la Germania, come ha raccontato M., o magari chi vuole raggiungere parenti in altri paesi europei come sottolineato da F.