È il nostro compleanno ma considerando ciò che è successo nell’ultimo anno in Afghanistan abbiamo veramente poco da festeggiare.
Per la maggior parte degli italiani il 15 agosto 2021 è stato un giorno di vacanza, magari passato sulla spiaggia a prendere il sole o a pranzo con la famiglia. Per il popolo afghano è invece la data che segna la fine della speranza e dell’illusione. Il giorno di ferragosto dello scorso anno cadeva infatti Kabul e i talebani, conquistando la capitale, ufficializzavano il loro ritorno al potere dopo 20 anni di occupazione militare occidentale.
Sappiamo che la storia è segnata da date che fanno da spartiacque e che marcano un prima e un dopo. Nel caso dell’Afghanistan il prima era già particolarmente drammatico, tanto da spingere 2,6 milioni di persone ad abbandonare il proprio paese (2° al mondo per numero di profughi dopo la Siria). Ma le scene cui abbiamo assistito dopo la proclamazione dell’emirato islamico rimarranno per sempre impresse nella nostra memoria. Come dimenticare i bambini lanciati sopra al filo spinato dell’aeroporto di Kabul?
Oggi, a poco più di 7 mesi da quei tragici eventi, è forse più semplice dare un senso a quel gesto disperato: quelle mamme sapevano che per i loro figli non c’era più un futuro in Afghanistan, soprattutto per le bambine. Solamente chi è ingenuo o in malafede poteva credere al presunto nuovo corso “moderato” dei talebani. E questi mesi hanno svelato il loro vero volto fatto di violenza, patriarcato, misoginia e oscurantismo. Le donne, che con grande coraggio erano riuscite a ritagliarsi uno spazio di libertà, hanno visto i loro diritti totalmente annullati, a cominciare dal diritto allo studio.
Questa ennesima crisi ha spinto altri 500 mila afghani a fuggire dal proprio paese principalmente verso Pakistan e Iran. Circa 5 mila sono arrivati in Italia grazie ai ponti aerei tra cui circa 1300 donne e 1450 bambini. Un flusso e soprattutto dinamiche di fuga mai viste prima che hanno totalmente cambiato il contesto in cui operiamo e acceso i riflettori della stampa e dell’opinione pubblica sulla tragedia del popolo afghano. Un dramma troppo spesso dimenticato o peggio normalizzato, soprattutto quello femminile, che sale regolarmente alla ribalta solamente nei momenti più bui per poi tornare nell’oblio.
Le nostre attività nell’ultimo decennio si sono sempre adattate alle caratteristiche in costante mutamento della diaspora afghana. Dopo i primi anni dedicati ai giovani ragazzi invisibili in viaggio dall’Afghanistan verso il nord Europa, il nostro impegno dal 2016 si è focalizzato sulle donne afghane arrivate a Roma grazie ai ricongiungimenti familiari. Lo scopo è sempre quello di supportare processi di autonomia rivolgendoci, però, a chi vede l’Italia come paese di destinazione e non solo di transito. Gli interventi hanno l’obiettivo di promuovere l’accesso ai servizi socio-educativi, sanitari e di ricerca lavoro presenti sul territorio e contestualmente incoraggiare l’auto-rappresentazione della diaspora afghana.
I cambiamenti repentini degli ultimi mesi hanno portato con sé nuove sfide, richiedendo a noi di Binario 15 di adattarci ancora una volta. Così, oltre a continuare il nostro impegno al fianco delle donne e delle famiglie residenti in Italia da alcuni anni, ci siamo impegnate ad intercettare e rispondere ai bisogni delle famiglie arrivate dopo il 15 agosto 2021.
Altra variabile di rilievo è stata la pandemia che negli ultimi due anni ha reso più difficile strutturare percorsi in presenza, ma che non ha intaccato la nostra determinazione. Le iniziative intraprese, infatti, sono state diverse: tra queste le riunioni online per informare sulle misure contenitive e i sussidi collegati al covid, il percorso di storytelling in collaborazione con l’associazione Storie di mondi possibili.
Abbiamo, inoltre, avviato un corso di italiano online che coinvolge una quarantina di donne arrivate da poco dall’Afghanistan e sparse tra Sicilia, Campania, Basilicata e Lazio. Questo progetto nasce dalle difficoltà di accesso alle scuole di alfabetizzazione sperimentato dalle donne. Tali difficoltà sono dovute in alcuni casi alla distanza tra il centro di accoglienza e la scuola o alla bassa frequenza delle lezioni a disposizione. Altre volte il problema è legato alla presenza di minori, anche neonati, che impediscono alle madri di poter frequentare un corso di lingua italiana in presenza. Ultimo, ma non meno importante, la scarsa presenza della mediazione interculturale che possa supportare l’apprendimento.
Il nostro laboratorio si svolge sulla piattaforma Zoom e permette anche alle mamme di poter frequentare il corso comodamente da casa. È sempre presente una facilitatrice interculturale che supporta il lavoro delle volontarie: in questo modo siamo riuscite a creare un ambiente protetto in cui condividere le proprie esperienze, familiarizzare con la lingua e il nuovo contesto italiano, ma soprattutto socializzare e sentirsi parte di una comunità anche se lontane migliaia di chilometri dal proprio paese.
Ora, con l’emergenza Covid che sembra rientrare, siamo pronte per ripartire con le attività in presenza in una nuova sede a Roma che annunceremo a breve. Il nostro obiettivo sarà quello di supportare ancor di più le dinamiche di mutuo aiuto già presenti all’interno della comunità dotandoci nuovamente di uno spazio fisico in cui incontrarci, riflettere e progettare. Vogliamo valorizzare le esperienze, le conoscenze e le capacità con percorsi concreti di orientamento ai servizi e consolidare il ruolo attivo della diaspora, soprattutto quella femminile, nella definizione di proposte per migliorare la condizione femminile in Italia e in Afghanistan. Perché il nostro impegno è e resterà sempre costante anche quando l’opinione pubblica e la stampa dimenticheranno per l’ennesima volta (e sappiamo che purtroppo accadrà) il dramma del popolo afghano.